lunedì 26 febbraio 2018

La villa dei Conti Giglioli a Serravalle (Ferrara): un bene da recuperare.

Ho avuto modo di interessarmi alle vicende e alla situazione di Villa Giglioli a Serravalle fin dai primi momenti successivi alla semi-distruzione causata dall’incendio nella notte tra il 31 dicembre 2008 e l’1 gennaio 2009. A distanza di nove anni, concluso l’iter giudiziario penale e civile, occorre ora guardare alla messa in sicurezza di ciò che è rimasto e al recupero e restauro delle parti architettoniche e artistiche ancora presenti. Non traccio qui se non un breve excursus relativo alla storia dei due manufatti storicamente più importanti (La Villa e l’Oratorio), sottolineando la somma necessità di una messa in sicurezza di ciò che resta e di un veloce recupero di quanto si è salvato dalla distruzione. Faccio notare che la proprietà ha sempre messo a disposizione della comunità civile e di quella religiosa spazi e edifici, credendo nel valore educativo e turistico di un luogo tanto ricco di storia. I meriti in campo culturale degli eredi Giglioli sono ben evidenti. Essi, infatti, fin dall’anno 2000-2001 hanno donato l’intero patrimonio archivistico di Casa Giglioli all’Istituto di Studi Rinascimentali: una ricchissima dotazione documentaristica che racconta gran parte della storia della Città e del territorio. La distruzione di buona parte della villa di Serravalle è stata, anche sotto questo punto di vista, uno sfregio alla storia e alla cultura ferraresi. Gli eredi hanno poi collaborato per produrre uno studio progettuale inerente il restauro funzionale della Villa. Nell’anno accademico 2011-12, alla facoltà di architettura dell’università degli studi di Palermo, è stata presentata la tesi redatta da Margherita Martina Emma (Relatori: prof. Ing. C. Cucchiara, Prof.ssa Arch. L. Gargagliano, Prof. Arch. F. Tommaselli, Prof. Arch. G.M. Ventimiglia) avente per titolo: “PROGETTO DI RESTAURO E RIFUNZIONALIZZAZIONE DI PALAZZO GIGLIOLI”. Secondo tale progetto andrebbero tutelati i pochi fabbricati ancora esistenti nell’area, con l’intenzione di un recupero, restauro ed utilizzo, così da renderli accessibili e godibili in ogni parte con l’individuazione di destinazioni d’uso compatibili e aperte a tutti i cittadini, residenti, ospiti, visitatori, scolaresche, anziani, diversamente abili, senza alcuna limitazione: ciò sarebbe un valido impegno per evitare che dall'
abbandono, dal degrado, dal vandalismo e dalla noncuranza derivi la perdita totale dell’unico vero monumento storico del nostro territorio. Il complesso, infatti, costituito dalla Villa settecentesca, dai fabbricati di servizio, dal grande parco, dalla Cappella gentilizia, dovrebbe rientrare a pieno titolo fra le realtà più significative del Basso Ferrarese sia per l’interesse storico che per quello turistico-fluviale (Ciclabile Destra Po - Approdo fluviale di Serravalle – Insediamento La Porta del delta).


 LA VILLA (Storia)

A metà del secolo XV quando Giglioli, e più propriamente Giacomo, vennero investiti del titolo comitale e della contea di Serravalle, costruirono nel luogo ove ancora oggi esiste la villa, una dimora a forma di torre. Attorno al piccolo maniero si formò un piccolo agglomerato di capanne e tuguri, vera e propria oasi in mezzo alle paludi, alimentate dalle continue e disastrose rotte del fiume Po. La famiglia Giglioli – che pure mantenne il palazzo in Ferrara e molte altre proprietà immobiliari e terriere in varie zone del Ferrarese e del Veneto - provvide a costruire nel tempo molti fabbricati rurali e provvide anche al rialzo delle strutture arginali per lungo tratto della sponda serravallese del Po di Goro (anticamente detto “di Ariano”). Dopo il ritiro a Serravalle causato dall’arrivo della dominazione pontificia, nel 1598, a seguito della morte senza prole maschile dell’ultimo duca estense Alfonso II, la costruzione subì varie modifiche.  Ai primi dell’Ottocento la torre venne demolita quasi per intero e ad essa si sostituì sul lato nord la cimasa di chiaro stile neoclassico. Alle finestre ed ai portali di ingresso furono apposti i frontini e aggiunte le scalinate. C’era anche un piccolo colonnato che sorreggeva il balcone a nord ma esso poi scomparve (come risultava da una pittura realizzata al piano nobile da Rosa Giglioli ed ora andata perduta con il recente incendio). Il pittore ferrarese Francesco Migliari decorò nel 1825 molte stanze e soffitti, altre decorazioni furono realizzate dalla già citata Rosa Giglioli. Ultimi grandi lavori e sistemazione di arredo si ebbero durante la vita del conte Arturo (1872-1948).

L’ORATORIO (Storia)

Il fabbricato si erge sul lato nord, con il portale ad ovest, e pare esistesse già alla metà del Settecento. Prova ne sia il fatto che esso compare citato nel libro Adriensium Episcoporum series historico-chronologica monumenis illustrata (Padova, 1788) del Vescovo di Adria Mons. Arnaldo Speroni degli Alvarotti. La più antica pietra tombale posta nel pavimento dell’oratorio risale alla metà del secolo XVIII. Nel 1833 si ebbe un radicale restauro (come ricorda una scritta dipinta sopra la porta d’ingresso). Nell’oratorio riposano i resti mortali di Ermanno Maffei-Giglioli, morto ventenne ed intimo di Lodovico Ticchioni (partigiano, medaglia d’oro della Resistenza). Il conte Arturo, nel 1947, a ricordo del nipote, fece accomodare nell’oratorio una balaustra e un altare cinquecentesco, ottimamente intarsiato di marmi, proveniente da una villa veneta dei Grimaldi del Terraglio. Per quanto riguarda le sepolture vale la pena ricordare che nell’oratorio sono conservati i resti di Luigi Giglioli, figlio del conte Gaetano, morto nel 1861, di anni, 52, graduato dei Bersaglieri del Po. L’11 ottobre 1927 il pittore ferrarese Augusto Pagliarini provvide a realizzare i lavori di restauro decorativo all’interno dell’oratorio. Per la qualità delle decorazioni si dirà che il Prof. Pagliarini era artista di chiara fama avendo lavorato al restauro dei dipinti di Palazzo Bonacossi a Ferrara. Di lui si ricorda anche la decorazione della chiesa arcipretale di San Martino a Conselice (diocesi di Imola). Il 29 ottobre 1932 il conte Arturo concesse che la chiesetta potesse essere officiata tutte le settimane, nella mattinata del sabato, con la santa Messa celebrata dal Parroco-abate di Serravalle o da un suo cappellano

martedì 13 febbraio 2018

Don Giovanni Camarlinghi: un prete per amico.


Mi ero ripromesso di scrivere qualche ulteriore riga al ricordo qui pubblicato con il precedente post n. 74 del 10 dicembre 2017 sulla figura del caro amico don Giovanni Alberto Camarlinghi. Scrivere di lui è, per me, come scrivere di un fratello poiché la sintonia che si creò fra noi due fu dettata non solo dall’essere quasi coetanei ma anche e soprattutto dalla condivisione totale del modo di intendere la vita e l’impegno in una comunità parrocchiale. Giovane fra giovani, don Giovanni alimentò un fervore di iniziative che ebbero il merito di lasciare un segno profondo in una comunità ove, ancora negli anni 70 e 80 del Novecento, era difficoltoso proclamarsi cristiani a causa di una massiccia opera di contrasto verso la Chiesa operata dai partiti della sinistra. Di lui bisogna segnalare: la costante presenza in oratorio, le confessioni, l’assistenza diuturna al gruppo giovanile, le visite frequentissime ai malati, l’impegno per mandare avanti e sostenere alla grande l’educazione dei piccoli nella benemerita scuola materna parrocchiale “Don Pio Minghetti”. Allacciò contatti frequenti ed invitò a numerose celebrazioni i sacerdoti nativi di Serravalle e quanti, ancora viventi, lo avevano precededuto in Parrocchia. Questi sono solo alcuni aspetti della missione sacerdotale espletata da don Camarlinghi che non mancarono di attiragli le simpatie anche degli ambienti politicizzati e più ostili al messaggio evangelico. Col sorriso sulle labbra profondeva con energia l’impegno della sua presenza, giorno e notte, per gli anziani, che visitava frequentissimamente e al cui capezzale portava il conforto dei sacramenti, specialmente quelli della Casa di Riposo, allora condotta da un gruppo di oltre quindici Suore della Sacra Famiglia per cui celebrava quotidianamente la santa Messa mattutina. Diede vita al gruppo del Vangelo, impegnato nello studio della Parola di Dio; ugualmente sostenne e formò un gruppo giovanile, che condusse a riflettere sulle tematiche più importanti attraverso incontri di preghiera e riflessione e nell’impegno mensile della pubblicazione del giornale parrocchiale “Dal Campanile”, uno straordinario strumento di comunicazione e di collegamento. Orbitarono nella redazione e nel confezionamento di quel periodico decine di ragazzi, decine pure impegnati a scrivere, a esporre idee, a proporre iniziative, a riflettere sui temi della presenza cristiana nel mondo, a segnalare l’esigenza di un recupero delle più importanti notizie di storia paesana. Poi la grande avventura della Sagra Paesana vissuta in tutte le sue dimensioni, prima fra tutte quella della preghiera al Patrono San Francesco d’Assisi. Segnalo tuttavia come merito grandissimo di don Giovanni Camarlinghi fu l’aver dato vita al Coro Parrocchiale, o meglio alla Cappella Musicale. Una compagine canora con oltre sessanta elementi, dai bambini alle bambine, dalle giovani alle donne, da alcuni giovanotti a uomini maturi: tutti entusiasti di cantare, di provare, di rendere sempre più decorose le celebrazioni. Dopo il trasferimento di don Giovanni a Ferrara, la corale ha proseguito fra enormi difficoltà ed ora è ridotta a pochi cantori. Va detto, in tutta serenità, che non ha assolutamente giovato all’impegno di servizio liturgico l’aver formato un coro giovani che, in netta contrapposizione alla storica formazione canora, non ha saputo né voluto continuare nelle linee di una eredità di formazione musicale decisamente importante. Poi non è possibile dimenticare il Palio. Gli ultimi quattro anni trascorsi da don Camarlinghi a Serravalle sono stati momenti indimenticabili per la nascita e lo sviluppo di un organismo ancora presente, aggregante persone di diversa condizione sociale, di diversa cultura, di diversa ideologia politica: giovani e adulti protesi a voler animare la comunità in modo sano e divertente, legando le manifestazioni a una parte della storia antica del territorio. Sentiva importante e imprescindibile, il caro don Giovanni, guardare al cuore delle persone, guardare al bene delle anime, coltivando amicizie e pregando tanto, pregando sempre. Anche certi suoi gesti, esemplari per un sacerdote giovane, fanno oggi riflettere. Luigi Accattoli nel suo Blog, che invito a visitare e a leggere, ha parlato di don Giovanni in merito a due avvenimenti: il primo riferito al comunista mangiapreti Tonino Colombani, convertito in punto di morte dall’Ave Maria. L’altro all’ebreo ferrarese ingegner Giorgio Bianchini, convertito al Cristianesimo ma legatissimo alle tradizioni ebraiche, ospite nella Casa di Riposo di Serravalle. Egli raccontava che da giovane, chiamato alle armi nel 1915, era andato dal Rabbino che gli aveva imposto le mani pronunciando la preghiera che nel Benedizionale degli Ebrei il nonno recita in occasione della partenza del nipote. Quando don Camarlinghi nel 1985 fu chiamato a lasciare Serravalle per la Parrocchia dell’Immacolata di Ferrara, si recò dal vecchio amico Bianchini chiedendogli una benedizione. L’ingegnere, commosso e lusingato, mise la kippah, pose le mani sulla testa di don Giovanni recitandogli la benedizione che il rabbino aveva un tempo invocato su di lui: “Angelo di Dio tu condottier del viver mio, guidalo e portalo tu sul sentier della virtù”. Ecco, a distanza di tanti anni, a distanza di alcuni mesi dalla morte di Don Giovanni, possiamo dire che la sua presenza a Serravalle e nella parrocchia dell’Immacolata è stata una vera e propria benedizione del Signore per tutti coloro che hanno avuto la fortuna di averlo incontrato e di averlo avuto come parroco ed amico.

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Giovanni Raminelli